Primo libro scritto su Sergio Marchionne è l’unico tra quelli pubblicati quand'era in vita, al quale il manager abbia collaborato. Nasce da un lungo articolo per Il Foglio, che troverete nella sezione dedicata. È il tentativo di espandere un profilo giornalistico da 20.000 battute in un ritrattone da 150.000, con un approccio che allude alla bio-intervista (mascherata) all’attore o all’eroe sportivo. A suo modo, è un esperimento. È stato pubblicato in tre versioni, la prima nel 2009, la seconda in Oscar nel 2011, l’ultima – questa qui – nell’estate del 2018, alla morte del sessantaseienne amministratore delegato di Fca, a Zurigo il 25 luglio 2018, a seguito di un ricovero ospedaliero durato un mese.
Che fosse malato da un anno si è saputo dopo. Il 26 giugno aveva consegnato una Jeep Wrangler al comando generale dell’arma dei carabinieri a Roma. Alla fine della cerimonia si era incamminato verso un militare che teneva un cane lupo al guinzaglio. “Riconosci il figlio di un carabiniere?”, aveva detto guardando il cane. Fu la sua ultima apparizione pubblica.
Nel 2004 era stato nominato amministratore delegato della Fiat e in poco più di cinque anni, riuscì nell’impresa impronosticabile di salvarla dal fallimento. Poi la sposò con un’altra grande agonizzante, l’americana Chrysler.
In un breve tempo diventò una star internazionale del più complicato e affascinante settore industriale, l’automobile, detto l’industria delle industrie. In quindici anni ha guadagnato moltissimo. Si calcola intorno ai 700 milioni di euro. Impensabile per lui che fino all’età di 41, aveva guadagnato 150.000 dollari l’anno. Il successo, l’ascesa repentina, un tratto mediatico informale di cui il maglioncino nero fu il simbolo, gli dettero un’aura a metà tra il guru e il campione sportivo.
In Italia divenne un soggetto divisivo, a causa di un contratto aziendale di lavoro che – per il momento e il luogo in cui veniva proposto – aveva rotto le consuetudini delle relazioni industriali. Ma a Marchionne, anticonformista e cresciuto nel pragmatismo nordamericano, il conflitto con la Fiom-Cgil, continuò a sembrare astratto. Pensava che quel contratto regolasse malattie e straordinari, senza eliminare diritti.
Come tutti i capi azienda commise degli errori o lasciò inattuati o incompleti dei programmi. Cercò un’alleanza impossibile con General Motors, ebbe persino la tentazione di assaltarla con un’Opa ostile, e non riuscì a dare forza al polo del lusso italiano con Alfa Romeo e Maserati. Ma riuscì ad aggirare la Grande Crisi cominciata nel 2007, e a disegnare un gruppo automobilistico nuovo ricombinando il meglio dei due originari. Nel 2004, il gruppo di cui assunse la guida valeva meno di 6 miliardi di euro. Nel 2017, prima degli annunci sui dazi da parte di Donald Trump, era arrivato a valerne quasi 80.